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C come Covid, così la pandemia ha condizionato la stagione e spento la passione

Notizie || 02/04/2021

Un giorno quando faremo i conti, speriamo definitivi, delle vittime del Covid, dovremo aggiungerne una, che non è fatta di carne ed ossa, ma è una parte di ognuno di noi. E si chiama passione. Passione per quello che più amiamo e che la pandemia, il lockdown, la reclusione in casa e il distanziamento ci hanno impedito di vivere liberamente. Saremo in grado di riconquistarla, di tornare al punto di partenza? Di mandare indietro il nastro e ricominciare tutto come prima? E’ passato un anno da quando la parola Coronavirus si è affacciata nelle nostre vite, cambiandole. Un anno di sofferenza, paura, lacrime e problemi. Il mondo sta vivendo sotto una cappa e quello dello sport non è stato immune. Anzi credo sia stato tra le attività più penalizzate. Perché cosa più dello sport vive di passione? Ho sempre interpretato il calcio come un incredibile generatore di emozioni e di passioni, e il mio obiettivo principale da tecnico è stato sempre quello di divertire e regalare gioia a chi veniva a vedere la partita, cercando il risultato sempre attraverso lo spettacolo e il rispetto delle regole. Per questo, per me, il calcio senza i tifosi, che sono i fruitori, non esiste. E quello che stiamo vivendo adesso non può che essere solo una parentesi. Dentro gli stadi sembra di stare in un acquario senza tifosi sugli spalti, senza la gioia, la disperazione, i rumori, i cori, le sciarpe e le bandiere. I bar chiusi e l’impossibilità di incontrarsi per strada e nelle piazze hanno tolte le vecchie dinamiche che muovono il calcio, le chiacchiere tra amici, le discussioni, gli sfottò e le polemiche. Noi parliamo sempre del pallone legato ai massimi campionati di A e di B ma il calcio, dalla parrocchia alle partite per strada con un pallone sgonfio, resta prima di tutto un grande aggregatore sociale e culturale. Temo che un anno per i ragazzi, dai campetti minori ai settori giovanili alle scuole calcio, senza poter giocare, allenarsi, vivere il pallone come momento di condivisione abbia portato tantissimi giovani a trovare altri hobby e passatempi. A chiudersi magari davanti a computer e cellulare, a vivere relazioni digitali. Un problema di cui forse pagheremo il conto in futuro in Italia e all’estero, con un calo consistente della partecipazione giovanile. Il campionato che stiamo vivendo quest’anno non può definirsi falsato, ma di certo è fortemente condizionato dalla pandemia. Così come condizionati devono essere i giudizi. Applausi e meriti a chi è riuscito tra grandi difficoltà a trovare un equilibrio, una costanza e una concretezza, ma chi non c’è riuscito ha di certo molti alibi. Difficile giudicare in modo netto e criticare in modo circostanziato. Società, allenatori e giocatori, tutti sono stati frenati. Non è facile vivere una stagione così: tra controlli continui, casi Covid che tolgono la disponibilità degli atleti da un momento all’altro e creano disagi, tensioni, distrazioni, preoccupazioni. Pensate come sia preparare una gara quando il giorno prima hai avuto uno o due casi, scatta l’allarme, si devono tamponare tutti, crescono le paure di chi teme di aver contratto il virus o aver contagiato i propri familiari. I tecnici sono spesso costretti a fare anche gli psicologi. I giocatori hanno timori anche perché magari non tutti i compagni si comportano nella stessa maniera e con la stessa professionalità. A questo aggiungiamo i fattori esterni perché il rendimento in campo degli atleti non può non risentire dell’assenza di pubblico, degli applausi, dei fischi, dell’adrenalina che cala in un impianto vuoto. Infine le società: i bilanci già in enorme sofferenza per gestioni non sane hanno conosciuto in alcuni casi il colpo di grazia e nell’ultimo anno si è scelto di giocare più per non fallire che per raggiungere un risultato sportivo o rispettare il pubblico. Riunioni, assemblee, gestione dei diritti tv, necessità di anticipi su future entrate hanno contraddistinto il lavoro quotidiano di presidenti e manager. Senza un immediato flusso di denaro è impossibile a coprire i debiti e pagare stipendi arretrati. Tanti presidenti sono più interessati a questo, magari creando nuove competizioni internazionali che possano attirare sponsor per i club più grandi più che per l’intero sistema. Agendo in maniera egoistica. Che dire? Speriamo questa pandemia passi senza lasciare ferite impossibili da rimarginare e che tutto questo disagio possa servire almeno a capire gli errori commessi. E a ripartire con gestioni più sane. Ci spero, ma fatico a crederci

Zdenek Zeman

(Gazzetta dello Sport - 02/04/2021)

 
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