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Notizie

30 Dicembre 2002: L'intervista post esonero rilasciata dal Mister...

Cronaca || 30/12/2002

STORIA DI UNA PUGNALATA ALLE SPALLE


L'intervista del Mister dopo l'esonero....

dal Corriere della Sera del 30 dicembre 2002

Zeman: «Mi hanno pugnalato alle spalle»
«I presidenti mi licenziano perché sono scomodo? Il calcio ha perso tutti i valori morali»


Il comunicato ufficiale recitava: «Grazie a Zeman per il prestigio recato alla Salernitana». Belle parole, anche se un po’ diverse dal «Può restare a Praga, lei non è più l’allenatore» con cui è stato esonerato via telefono da un segretario di Aliberti, il presidente che un tempo era suo amico. «Non ha avuto il coraggio di chiamarmi direttamente e tantomeno di dirmelo guardandomi in faccia» esordisce Zeman. Nel calcio ci sta di essere esonerati, è stato il modo a ferirlo: «Poteva dirmi: siamo ultimi, voglio cambiare. Invece no. Consigliato da qualcuno, ha mandato via i miei collaboratori, facendo terra bruciata per indurmi a dimettermi. Dimenticando quanti problemi di gestione gli ho risolto, facendo gli interessi della società e mettendoci sempre la faccia. A un certo punto voleva anche un’altra parte del corpo e quella non gliel’ho voluta dare...».

Partiamo dall’inizio.
«Ho accettato la Salernitana dopo tante insistenze perché c’era un programma preciso: risanare la società, lavorare sui giovani, costruire un centro sportivo dove farli crescere. Io ho lavorato su quel progetto, ma nessuna promessa è stata mantenuta».

Un primo anno ottimo fino a dieci giornate dalla fine, poi sconfitte a ripetizione e gol assurdi vi fecero uscire dal giro promozione.
«Non mi spiego quel finale di campionato, o preferisco non spiegarmelo...».

Però propose parecchie cessioni...
«C’era bisogno di cambiare per questioni morali e di bilancio. In due anni ho fatto risparmiare rispettivamente 8 e 9 miliardi tra ingaggi e costi di gestione. E nonostante questo, non ci sono i mezzi per superare dicembre».

I problemi quest’anno sono sorti già in ritiro.
«Trentatré calciatori in rosa impedivano l’arrivo di chi avevo chiesto. Per me i giocatori si possono muovere per fare cassa, per calare il monte ingaggi o per migliorare la squadra. Ma è un problema se il mercato viene fatto per altri interessi. E con me in panchina certi affari sono difficili...».

Perché non se ne è andato?
«Per gli stessi motivi per cui sono restato fino all’esonero: io rispetto gli impegni. E perché, nonostante tutto, ritenevo che la squadra potesse fare bene, se tutti avessimo remato dalla stessa parte . Prima di firmare il rinnovo avevo posto un’unica condizione: la costruzione di campi d'allenamento. Dovevano essere pronti da mesi: non se ne sa più niente».

Con l’allontanamento di alcuni dirigenti ostili, Aliberti sembrava averle dato carta bianca.
«Io credo che abbiano continuato a lavorare dietro le quinte... remando dalla parte opposta alla mia. Ed ora sono rientrati... L'ultimo Aliberti sembrava destabilizzato e condizionato dai suoi problemi con Casillo».

Ultime settimane: le statistiche fatte distribuire dopo la partita con la Triestina.
«Non c’era nulla di offensivo. Io credevo, e credo ancora, che la squadra si possa salvare, quei dati dimostravano che nonostante tanti problemi c'era qualcosa su cui continuare a lavorare».

Difficile farlo, però, dopo il licenziamento del suo staff.
«Aliberti mi ha tolto le gambe e le braccia, lasciando solo la testa e sperando che cadesse da sola. Per giustificare l'esonero di Modica (allenatore in seconda, n.d.r .) sono state inventate storie squallide, su Ferola (il preparatore, n.d.r .) che non andava d'accordo con gente con cui lavora da anni. Mi aveva tolto anche il massaggiatore e il medico».

Si è sentito tradito?
«E’ un termine riduttivo: è stata una coltellata alle spalle. Sono andato a Salerno per Aliberti e ho sempre lavorato per il bene della società».

Qualcosa di simile le era capitato anche con Cragnotti e Sensi. Cambierà atteggiamento in futuro?
«No, resto lo stesso. Certi valori li mantengo e continuerò a credere nel lavoro».

Cosa le resta di questa esperienza?
«In positivo il riconoscimento di alcuni giocatori di averli migliorati tecnicamente e umanamente. In negativo il comportamento del presidente e di alcuni dirigenti».

L’ultimo Zeman ha vissuto tra esoneri e amarezze.
«Le storie vanno raccontate bene. In Turchia non sono stato esonerato, mi sono dimesso rifiutando un ricco rinnovo triennale. Per capire l'esonero di Napoli rileggetevi un'intervista di Ferlaino al "Mattino": "Moggi voleva rovinare Zeman. Per distruggere lui, ha distrutto il Napoli"».

I suoi detrattori sostengono che il suo modulo e il suo gioco non vanno più.
«La Triestina è prima con il 4-3-3 e tutti la osannano».

C'è in lei più rabbia, più delusione o voglia di rivincita?
«Tutte e tre le cose».

Che farà adesso?
«Vorrei aggiornarmi ed imparare, ma qui c'è poco da imparare. Bisognerebbe tornare agli Anni 50 per riscoprire lo sport».

Si è mai chiesto perché nel calcio presidenti e dirigenti si arricchiscono e le società invece sono in crisi?
«Una bella domanda su cui il mondo del calcio dovrebbe riflettere. Poche società potranno onorare gli impegni presi».

Quest'anno ha aumentato il suo record di deferimenti...
«Il 16 c'è l'udienza. Dicono che ho offeso i presidenti, ho messo in dubbio le loro capacità imprenditoriali, evidentemente ho torto... ma ci sarà tempo per riparlarne».

Resterà sempre un personaggio scomodo?
«Non mi interessa essere scomodo per qualcuno, ma che sia comodo per i l gioco del calcio. Dove purtroppo si sono persi tutti i valori morali».

Cosa cerca per il futuro?
«Un posto dove sia possibile fare e insegnare calcio in modo sano. Spero di trovarlo».

L’ultima frase che ha detto al suo presidente?
«Non c’è nulla di disonorevole nell’essere ultimi. Meglio ultimi che senza dignità».
Andrea Di Caro



Ed ecco l'articolo con l'intervista di Ferlaino citata dal Mister.

da Il Mattino di sabato 7 dicembre 2002

«Mai avrei preso Colomba al Napoli»

TONI IAVARONE

L’ingegnere non sta più rintanato in quel palazzotto ricamato di corso Vittorio Emanuele. Villa Gallo, stile umbertino, dimora un tempo delle figlie del maresciallo Diaz, per Corrado Ferlaino non è più il bunker assediato di quando lui era il Napoli, il calcio, la maglia azzurra, le disgrazie, i dolori e le gioie. L'ingegnere e la villa sono tornati alla luce, ora sono un tutt’uno, sono la mente e la base operativa del gruppo Ferlaino, azienda rinforzatasi (ma sarebbe meglio dire uscita dal coma) grazie ai milioni di euro per la cessione del Napoli. Dicono che Ferlaino abbia fatto l’affare del secolo. L’ingegnere un po’ ammette e un po’ si nasconde dietro la patina di sentimenti e passioni. Oggi il Napoli viaggia sui binari di una profonda crisi. Ferlaino ne parla, così come parla degli errori e stavolta non solo di quelli degli altri, ma pure e soprattutto dei suoi.
Ha venduto un’azienda quasi al fallimento come se fosse nuova.
Ho venduto quando forse era il momento, ma non creda che mi sia costato poco. Parlo anche in termini d’affetto. Mi sono separato da mia moglie anche perché mi ha costretto a vendere il Napoli. E dentro di me cova il rancore: perché il Napoli avrei voluto guidarlo ancora e bene. Forse non era il momento giusto.
Perché ripete: forse non era il momento?
Ho sbagliato. Un errore che costa a me e al Napoli. Avrei dovuto cederlo prima, quando siamo tornati in serie A, il bilancio anche se in perdita era tra i migliori del calcio. E avrei dovuto vendere tutto il Napoli, non una quota. Volevo un distacco lento e non traumatico, volevo mettere a disposizione della nuova proprietà la mia esperienza.
E quindi ha scelto Corbelli ed è restato con un piede dentro
Purtroppo. Avevo avuto contatti con la Finsbury, ma io in quel bluff ho creduto. Poi è arrivata l’offerta di Mario Maione, voleva il 70 per cento, quindi quella della Chase Manatthan Bank attraverso Emanuele Filiberto.
E poi?
Poi Corbelli. Chiesi garanzie su di lui e la sua azienda. Tutti me ne parlarono bene. Invece s’è rivelato un errore. Corbelli ha cominciato subito a ingaggiare una guerra con me. Ha giocato al rialzo, aumentando il capitale mentre io non ne avevo la possibilità. S’è fatto convincere da Moggi a prendere Zeman, perché Moggi così avrebbe incastrato l’allenatore nemico. Corbelli scegliendo Zeman ha poi incastrato me ed il Napoli, visto che ero pronto a confermare Novellino. Un’annata pessima, il Napoli è passato da un deficit di 30 miliardi di vecchie lire a 100 miliardi. Ci ha illuso la rinegoziazione del contratto pay tv - dai 20 miliardi di Tele+ ai 60 di Stream - Corbelli ha speso tanti di quei soldi commettendo errori su errori: l’acquisto di Edmundo è emblematico.
Ma era o no il suo socio al 50 per cento?
Ho tentato di fermarlo in tutti modi, ma non ci sono riuscito. La verità e che io e Corbelli non ci siamo mai presi. Lui non ha capito che nel calcio si retrocede e quando si va in serie B anche il danaro finisce. Poi è stato vittima di vicissitudini giudiziarie ed è finito tutto male.
Avesse venduto ancor prima, quando il Napoli era quello degli scudetti.
Mai ricevuto offerte. Allora solo Briatore e Moggi si fecero avanti, ma erano proposte poco concrete. Il resto - Rivelli, Grappone, De Laurentiis, Pinzarrone - l’ha giudicato la storia del Napoli.
E così il Napoli s’è avviato verso la prima retrocessione.
Più o meno. Ma andammo in B per varie ragioni. La prima fu la scelta Antonio Juliano, un capopopolo. Avevo venduto Ayala e Longo per 30 miliardi. Juliano volle decidere da solo. Si comportò da Masaniello e fallì acquistando i vari Shalimov. Bruciammo pure quei 30 miliardi.
Ma possibile che lei si difende dando sempre la colpa agli altri? È riduttivo dire che il Napoli andò in B per la scelta di Juliano. Le pare?
Andammo in B perché... (Pausa, Ferlaino vorrebbe dire chissà che cosa, ma si ferma, si rintana nel suo cono d’ombra, mordicchia gli occhiali e gira lo sguardo).
Allora che successe, ingegnere?
Puzza di bruciato. Qualcuno per un piccolo complotto d’interessi personali pilotò la discesa in B. Nessun complotto di palazzo, sia ben chiaro. Per adesso vorrei solo dire che ci fu una macchinazione alle nostre spalle.
Accuse vaghe, perché non spiega?
Lo farò, ma non ora.
Adesso c’è un’altra crisi, il Napoli è sull’orlo della C.
Ferlaino è stato il bersaglio dietro il quale si nascondevano i guasti del Napoli. Mi hanno attaccato, perseguitato. Ora che il bersaglio non c’è più forse qualcuno si accorge che non ero solo io il male del Napoli.
E qual è il male?
«È difficile fare calcio in generale e in particolare a Napoli. Artemio Franchi diceva che un buon dirigente è quello che sbaglia meno degli altri. E già sbagliare il 50 per cento è un buon risultato
Quindi adesso Naldi sbaglia quasi al cento per cento?
Non mi faccia dire questo. Il mio è solo un ragionamento.
Lei ha la sensazione di non aver lasciato il Napoli in buone mani.
Quelle di Naldi erano e sono le sole mani. Non c’era altro, né altri. E poi io non ho ceduto il Napoli a Naldi, l’ho venduto a Corbelli.
Condivide le scelte di Naldi?
Spesso lui mi chiede consigli, ma io gli dico sempre: decidi tu, non farti influenzare da nessuno.
Ma lei avrebbe stipulato un contratto triennale con un allenatore?
Mai. Un anno con l’opzione sul secondo e conferma se le cose vanno bene. Altrimenti si cambia. Il calcio è strano, vive e programma a brevissima scadenza. Sa Naldi che mi disse quando prese Colomba? Tu hai sempre fatto accordi annuali con i tecnici, io ho più coraggio di te: a Colomba ho dato tre anni di tempo. Ma io Colomba, e ovviamente parlo da tifoso, non l’avrei mai preso. Non perché tecnicamente non sia bravo. Ho scelto gli allenatori in base al loro carattere e alla possibilità di adattarsi alla realtà Napoli. Colomba non ha il carattere giusto per questo ambiente. Ora il Napoli è in condizioni difficili. Soffro di più rispetto a quand’era mio. Allora potevo fare qualcosa, oggi assisto impotente alle sconfitte.
E magari vorrebbe tornare a Soccavo?
Mai e poi mai. Il Napoli per me è come l’amore per una donna. Quando è finito è finito. Nel calcio non voglio e non posso ritornare. È un mondo nelle mani di tre potentati: Milan, Inter e Juve.
Calcio impietoso e cattivo, Baldini aggredito, il branco col fiato sul collo dei calciatori. Ma anche gli appelli alla moderazione di Carraro, stavolta ai presidenti.
Nello spogliatoio si può dire, e spesso si dice, di tutto. Volano accuse feroci, a volte anche schiaffi. Ma al di fuori di quelle mura nessuno può accusare un altro. È sbagliato prendersela con la squadra. Naldi l’avrà fatto per difendere Colomba e Marchetti. Ma così ha scaricato i suoi calciatori. Quando Maradona venne nel Napoli rischiammo la retrocessione: eravamo terzultimi, ordinai di andare in ritiro e di uscire di lì solo con una soluzione alla crisi. Maradona alla notizia del ritiro mi rispose: io non ci vado, non sono fatto per questo. Gli replicai: se lei non è fatto per il ritiro non è fatto per il Napoli, decida se rimanere o andarsene. Per tutta risposta andò a casa a fare le valigie, voleva lasciare il Napoli, preparò tutti i bagagli. Stette un po’ a pensarci, poi venne con noi in ritiro. È un episodio significativo di come spesso si esce dal tunnel.
Ferlaino industriale, ma non di calcio, in una città difficile anche per chi fa impresa.
Mi occupo di costruzioni, è il core business della mia azienda, ma puntiamo anche ad altro. Oltre ai servizi e all’organizzazione di eventi con la Napolimarketing, guardo all’editoria, mi piacerebbe entrare in qualche tv privata. Voglio diversificare le attività occupandomi dell'industria del tempo libero. Come il settore turistico legato all’ agro-alimentare. Ho acquistato terreni in Cilento, vorrei far sorgere centri di vacanze e proporre i prodotti doc. E poi sto per acquisire un albergo.
Che ha detto? Compra alberghi? Ma come, lei cede il calcio a Naldi, che s’occupa di alberghi, e reinveste quei soldi in alberghi. È un albergo di Naldi?
No, di Naldi no, ma la struttura è a Napoli, la trattativa è in corso e tutto è top-secret.
(Non è di Naldi, allora proviamo a indovinare: è un albergo sul lungomare? Non risponde. È fuori città? fa di no con la testa. Vuoi vedere che è vicino alla sua villa, ex bunker, un albergo di corso Vittorio Emanuele? Sorride. Forse ci abbiamo preso).
Scusi, ma lei ha detto che questa è una città difficile, anche per investire. Invece lei opera sempre qui.
Napoli offre molto, ma i soldi non girano. Sembra immobile. Avevo 18 anni, feci la mia prima vacanza da solo, andai a Barcellona. Mi sembrava Napoli. Ma Barcellona è cambiata e Napoli no. Qui non c’è un piano regolatore audace, che abbia un po’ di creatività. Si discute ancora di Bagnoli, dopo tanti anni. Ora dovremmo già essere alla messa in atto dei lavori di infrastrutture, strade, porti. Siamo poveri, è vero. Però rischiamo di perdere quel senso di dignità che avevamo quando eravamo capitale di un regno. Non sono borbonico, credo solo in certi valori. Qui fare impresa è difficile: in provincia c’è la camorra, in città non c’è iniziativa. Però io lavoro qui, perché vivo questo posto e non sopporto chi da lontano parla male di Napoli e della napoletanità. Purtroppo pago molti scotti. Le società che ho per Palazzo d’Avalos e per i terreni di Giugliano rischiano il crac. Di Palazzo d’Avalos volevo farne un centro commerciale di alto livello: negozi, marchi, griffe. Invece la società rischia di fallire, i miei soci non mettono una lira. Bisognerebbe aumentare il capitale, io sono pronto, ma gli altri no.
Non è Naldi il suo socio?
Credevo fosse così. Invece ho a che fare ancora con la Corbelli Partners. Le azioni sono di Corbelli, Naldi ha solo le deleghe e quindi non può decidere. La situazione, come vede, è dovunque poco chiara.